In Italia la vendita per corrispondenza di armi è vietata dal 6 maggio 1975, ovvero dall’entrata in vigore dell’articolo 17 della Legge 18 aprile 1975 il quale recita:
Art. 17. Divieto di compravendita di armi comuni da sparo commissionate per corrispondenza
Alle persone residenti nello Stato non è consentita la compravendita di armi comuni da sparo commissionate per corrispondenza, salvo che l’acquirente sia autorizzato ad esercitare attivita’ industriali o commerciali in materia di armi, o che abbia ottenuto apposito nulla osta del prefetto della provincia in cui risiede.
Di ogni spedizione la ditta interessata deve dare comunicazione all’ufficio di pubblica sicurezza, o, in mancanza, al comando dei carabinieri del comune in cui risiede il destinatario.
I trasgressori sono puniti con la reclusione da uno a sei mesi e con la multa fino a lire centocinquantamila.N.B. Articolo obsoleto. In vigore dal 6.5.1975 al 13.9.2018. Modificato dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 104.
È stato lasciato per lasciare intatto il senso all’articolo.
L’Europa, su questo divieto ci è arrivata 40 anni dopo…
E’ infatti con la Direttiva UE2017/853 che viene indicato il divieto di vendita per corrispondenza a patto che l’identità dell’acquirente non sia verificata prima del momento della consegna o da un’armaiolo o da un ufficiale di Pubblica Sicurezza.
Articolo 5 ter
Gli Stati membri provvedono affinché in caso di acquisizione e vendita di armi da fuoco, loro componenti essenziali o munizioni rientranti nelle categorie A, B e C mediante “contratto a distanza” ai sensi dell’articolo 2, punto 7, della direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (*), l’identità e, ove richiesto, l’autorizzazione della persona che acquisisce l’arma da fuoco, i suoi componenti essenziali o le sue munizioni siano controllate prima o al più tardi al momento della consegna a tale persona, da:
a) un armaiolo o intermediario autorizzati o in possesso di licenza; o
b) un’autorità pubblica o un suo rappresentante.
La gran confusione è nata dal testo del recepimento proposta dall’ex governo Gentiloni al Parlamento.
Tale testo infatti (erroneamente) modificato l’art.17 della Legge 110/1975 sostituendolo in questo modo:
Art. 17 – Divieto di compravendita di armi comuni da sparo per corrispondenza o mediante contratto a distanza.
1. Alle persone residenti nello Stato non è consentita la compravendita di armi comuni da sparocommissionate per corrispondenza o mediante contratto a distanza, come definito dall’articolo 45, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, salvo che l’acquirente sia autorizzato ad esercitareattività industriali o commerciali in materia di armi, o che abbia ottenuto apposito nulla osta del prefetto della provincia in cui risiede. Di ogni spedizione la ditta interessata deve dare comunicazione all’ufficio dipubblico sicurezza, o in mancanza, al comando dei carabinieri del comune in cui risiede il destinatario.
2. I trasgressori sono puniti con la reclusione da uno a sei mesi e con la multa di euro 154.
Il problema è che, scritta in questa maniera, la modifica fa cambiare significato al testo e ne altera le intenzioni. La Direttiva infatti, non intende vietare i contratti (e le contrattazioni) a distanza, ma impone che essi siano conclusi prevedendo che la consegna materiale dei beni (armi o componenti essenziali o munizioni) sia effettuata esclusivamente da un armaiolo o un intermediario autorizzati o in possesso di licenza oppure da un’autorità pubblica o suo rappresentante e ciò affinché venga verificata l’identità dell’acquirente e la sua autorizzazione all’acquisto.
L’introduzione del “contratto a distanza” senza conformare l’articolo agli intenti della Direttiva genera un generale divieto alla compravendita o alla contrattazione a distanza, dimostrandosi una previsione di divieto assurda in quanto la prestazione di consegna effettiva dell’arma al compratore avviene o per ritiro diretto della persona nel domicilio del venditore (che verifica quindi di persona l’identità ed i titoli di acquisto), oppure inviandola all’acquirente tramite un’armeria, oppure richiedendo in casi eccezionali un nullaosta (previsto per esempio per distanze molto elevate). Quindi nella realtà la consegna dell’arma sarà sempre effettuata verificando i dati e l’identità della persona, relegando l’attività svolta a distanza al mero accordo sull’acquisto. Attualmente tale sistema è una prassi di molte armerie e di quasi tutti i piccoli produttori, che realizzano armi realizzate su ordinazione. La modifica – non richiesta dalla direttiva – andrebbe quindi a penalizzare enormemente un’ampia fascia di piccole imprese di artigiani e di commercianti che utilizzano gli “attuali sistemi di comunicazione telematici (email, siti internet, ecc.) in aggiunta al classico uso del telefono e del fax, universalmente utilizzati per discutere preventivamente le richieste commerciali , castrando il mercato italiano laddove, invece, viene incoraggiata, anche con sostegni statali (voucher, per esempio) l’adozione di sistemi digitali di contrattazione e definizione delle procedure.
Non c’è assolutamente la volontà di liberalizzare la vendita per corrispondenza delle armi, ma semplicemente quella di correggere il testo dell’Atto del Governo n.23 ponendolo in linea con quanto stabilito dalla Direttiva Europea.
Sottolineo che non è neppure necessario obbligare la spedizione a mezzo di guardi particolari giurate armate, in quanto ad oggi, ogni Questore prima di rilasciare un permesso di spedizione può prescrivere misure minime di sicurezza che vanno appunto dal vettore autorizzato alla scorta armata, questo in funzione della situazione sia del luogo, percorso e quantitativo di armi.
Per le armi A6, ovvero le convertite, bisogna fare una precisazione.
Consigliamo la lettura dell’articolo completo sulle armi demilitarizzate, ma vogliamo ricordare che fino a quando la Direttiva non verrà recepita in tutti gli Stati membri, in alcuni stati le armi A6 erano semplicemente armi automatiche in cui veniva soltanto tolto il congegno di scatto a raffica, senza che siano state apportate ulteriori modifiche all’arma, e che quindi una riconversione è, a patto di recuperare la componente tolta, facilmente realizzabile.
Nel nostro ordinamento però, le armi demilitarizzate sono ottenute mediante una serie di operazioni dettate dalla Circolare 577/B.50106.D.2002 del 20 settembre 2002 – Nuove disposizioni in materia di «demilitarizzazione» e «disattivazione» delle armi da sparo in cui l’arma così ottenuta risulta impossibile al ripristino del funzionamento automatico, sia perché le componenti vengono distrutte, sia perché i fori vengono allargati e successivamente riempiti con un tondino di acciaio di dimensione maggiore ed infine saldati. Tutte le altre componenti che interagiscono con l’automatismo del fuoco automatico sono fresate nelle parti di interazione.
Come dichiarato dal Ministero dell’Interno nella circolare, il ripristino è praticamente impossibile se non di difficoltà pari o superiore a quello di realizzare una nuova arma dal nulla.
Condividiamo l’idea di assicurare il trasporto di armi A1,A2,A3,A4,A5 tramite scorta armata, ma per le A6,A7,A8 le quali sono armi comuni tuttora, la cosa sembra davvero troppo eccessiva…
E’ ridicolo richiedere la scorta armata ad un tiratore sportivo che si reca presso un poligono privato con le proprie armi.
Non dimentichiamo che lo scopo delle Direttive, a differenza dei Regolamenti, è quello di uniformare la legislazione degli Stati membri, dove talvolta sono molto differenti da Stato a Stato.
Quindi quando di si parla di armi convertite è opportuno anche pensare a quelle armi dove la conversione è tale in modo temporaneo e non definitivo.
E’ quindi pura demagogia considerare un’arma A6 a norma italiana più perciolosa di una qualunque altra arma.
© 2018, Michele Schiavo. Tutti i diritti riservati.
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