Nel 1948, motivato dal desiderio di creare un’economia forte e indipendente per la sua Jugoslavia, Josip Broz Tito divenne il primo leader comunista a sfidare la leadership di Stalin nel Cominform.
A grandi linee tutto iniziò nel 1945, quando Stalin iniziò a nominare uomini a lui fedeli all’interno dei governi e dei Partiti Comunisti negli stati membri.
Ma in Jugoslavia Tito, anche forte della liberazione dall’occupazione nazifascista da parte dei suoi partigiani, rifiutò di lasciar subordinare la sua polizia, l’esercito e la politica estera. Al contempo contrastò la creazione di società attraverso le quali i sovietici avrebbero potuto controllare i settori cruciali dell’economia del paese.
Stalin richiamò così tutti i consiglieri militari e gli specialisti civili presenti in Jugoslavia e criticò le decisioni del Partito Comunista Jugoslavo. Al contempo, però, dirigenti jugoslavi vicini a Tito fecero blocco attorno a lui e quelli fedeli a Mosca furono esclusi dal Comitato Centrale e arrestati. Il Cremlino giocò l’ultima carta portando la questione davanti al Cominform, ma Tito si oppose. A questo punto il Cominform considerò il rifiuto jugoslavo come un tradimento.
Con l’espulsione della Jugoslavia dal Cominform e la conseguente uscita dal Patto di Varsavia, la Jugoslavia subì il blocco anche delle forniture di armamenti da parte della Russia.
Negli anni Sessanta la Zavodi Crvena Zastava iniziò a sviluppare in modo indipendente, senza ottenere la licenza, una serie di armi ispirate ai progetti russi. Gli ingegneri della Zastava, guidati dall’ingegnere Milan Chirich, realizzarono la loro versione di un’arma automatica basata sul sistema Kalašnikov, creando poi tutta un’intera famiglia di armi basate sull’AKM, la “Familija Automatskog Oruzja” (FAZ), tradotto in “Famiglia di armi Automatiche Zastava”. Successivamente vennero esportate in alcuni stati dell’est asiatico ed in Africa, e venne fornito lo start-up necessario anche all’Iraq per la produzione degli AK Tabuk.
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